carboncino

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Ritornati ad Allerona, abbiamo pranzato. Gli esperti, che ci hanno seguito, hanno poi mostrato diapositive di una carbonaia realizzata da un vecchio lavoratore, un certo Alessandro Fani.
Da questa esperienza abbiamo imparato a conoscere la storia dei carbonai della zona, che provenivano principalmente dalla provincia di Arezzo, nel periodo che andava da novembre a giugno.
Essi si spostavano in gruppi di 4-5 adulti accompagnati da un ragazzo chiamato “meo”. Vivevano in una capanna di pochi metri quadrati costruita con pali, frasche e zolle, al centro del bosco da cuocere.
Il carbone ottenuto, una volta raffreddato, veniva messo in sacchi che pesavano fra 70/80 kg., poi caricato sui muli per il trasporto.
Ci ha raccontato la professoressa che da giovane anche suo padre aveva fatto il carbonaio ma in modo diverso. A Cantone, paese di piccoli coltivatori diretti, in certi periodi dell’anno, prevalentemente d’inverno, quando il lavoro nei campi era ridotto, gli uomini si recavano nel bosco a tagliare la legna per casa e a fare il carbone con quella in più. Poi caricavano i sacchi sull’asino e lo andavano a vendere ad Orvieto. Gli acquirenti non erano fissi ma si trattava prevalentemente di famiglie. A volte erano le donne ad occuparsi della vendita del carbone che rappresentava un’occasione per recarsi in città e spesso spendevano subito il ricavato sul posto per acquisti extra, soprattutto vestiario. Per queste persone, quello del carbonaio non era un mestiere vero e proprio ma un’attività sporadica (mediamente 10 carbonaie in un anno) per racimolare qualche soldo in più. Negli anni '30 veniva pagato intorno alle 25 lire al quintale.
Le carbonaie non avevano una dimensione fissa, dipendeva dalla legna che avevano a disposizione in quel momento, a volte solo quanto bastava a produrre “una soma” (la quantità che portava un asino).

raccolta del materiale
Raccolta del materiale
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accensione
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