Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro sono circa 250 milioni i bambini e le bambine che lavorano; sono distribuiti quasi ovunque: Asia, Africa, America Latina, ma anche Europa e America del Nord.
Fra povertà e lavoro minorile c’è una stretta relazione, che si sviluppa quando la gente deve affrontare da sola la propria povertà. Senza scuola e sanità gratuita, senza la solidarietà sociale che consente di soddisfare almeno i bisogni di base, la famiglia deve chiedere ai componenti, compresi i più piccoli, di darsi da fare per rispondere ad un’ unica esigenza: sopravvivere.
Altra causa dello sfruttamento minorile è la sete di guadagno: i padroni preferiscono assumere i bambini perché questi sono più docili, si lasciano sfruttare senza opporre resistenza, sono più abili e adatti per alcuni lavori, ma soprattutto non scioperano.
In Italia, secondo un’indagine concentrata sulla realtà di nove città importanti, è stata calcolata una stima di circa 150 mila minori coinvolti in forme di lavoro precoce. Cifra che sale a circa 500 mila se si parla di tutto il territorio nazionale. Bar, ristoranti, pizzerie, negozi e fabbriche sono i luoghi che hanno maggiore afflusso di lavoro minorile. Per molti bambini il lavoro è motivo di gratificazione personale (essere indipendenti, avere dei soldi propri), per altri, in situazioni di bisogno, è la possibilità di contribuire a raddrizzare le sorti economiche dei genitori. Nel 70% dei casi il lavoro viene svolto in ambito familiare, ma il restante 30% ha a che fare con semplici conoscenti o datori di lavoro estranei. La paga, a secondo delle ore, va dai 100 ai 400 euro mensili. I minori che lavorano sono il 90% italiani e il restante extra-comunitari. La concentrazione è maggiore al sud: se la media nazionale è del 21%, nel meridione sale fino al 35%. Secondo noi il quadro descritto rischia di compromettere lo sviluppo futuro dell’Italia, perché non ci può essere sviluppo se al posto dell’istruzione c’è lo sfruttamento del lavoro minorile.
Lucia Barbanera e Chiara Cammardella classe III A Fabro Scalo
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