Dopo l’unità d’Italia si affacciavano molti e gravi problemi. Verso la fine del XIX secolo, le masse lavoratrici dovettero subire atti vessatori, condizioni usurarie, sfruttamenti disumani, salari insignificanti: vittime di tutto ciò furono i sempre più crescenti braccianti agricoli e i “carusi” delle zolfare. Il nome carusi veniva utilizzato per indicare i bambini costretti dalla precaria situazione economica familiare a lavorare nelle miniere, anche se, secondo la legislazione dell’epoca, era illegale far lavorare un minore di 12 anni anche perché un’altra legge stabiliva che la scuola dovesse essere obbligatoria per i bambini fino alla terza elementare.
Quindi questa normativa veniva violata. Le condizioni di lavoro erano dure e inaccettabili, la paga dei carusi era bassa, l’orario di lavoro arrivava a sedici ore giornaliere e i poveri sfruttati subivano maltrattamenti e punizioni corporali se accusati di furto o scarso rendimento.
La novella di Giovanni Verga, Rosso Malpelo, descrive fedelmente le condizioni di vita di questi poveri bambini. Questa novella, pubblicata nel 1880, è considerata uno dei capolavori del Verismo. In essa lo scrittore descrive, appunto, la realtà di sfruttamento e di miseria della gente in Sicilia, realtà che egli conosceva ma che emergeva anche dalle inchieste promosse dal governo del Regno d’Italia da poco formatosi. La vicenda è quindi una testimonianza delle condizioni di vita delle classi povere alla fine dell’Ottocento, ma è anche un ritratto dell’adolescente Rosso Malpelo, condannato dai pregiudizi e dalla violenza sociale alla solitudine, all’emarginazione e ad una tragica fine.
Rosso Malpelo (così chiamato poiché una superstizione popolare riteneva che i capelli rossi fossero segno di cattiveria) è un ragazzo che lavorava nelle cave di rena (una sabbia rossa).
Era disprezzato dalla madre e dalla sorella, le quali credevano che non desse tutto il guadagno del suo lavoro alla famiglia, tenendosene una parte. Provava un affetto particolare per il padre, che, facendo il suo stesso lavoro, era l'unica persona che lo proteggeva nelle mansioni più pericolose, gli credeva sempre, lo abbracciava e lo difendeva.
Un giorno il padre, in seguito all'indigenza economica della famiglia, fu costretto ad accettare un pericoloso lavoro, che nessuno dei suoi colleghi aveva accettato. Ma ci fu un incidente e l'uomo rimase imprigionato sotto una frana. Rosso Malpelo, alla notizia, preso dalla disperazione, iniziò a scavare con le unghie fino a farle sanguinare e ad urlare.
Rosso continuò a lavorare nella cava dove era imprigionato il cadavere del padre ma, quando esso fu trovato, Malpelo venne preso dal panico e così si fece spostare.
Intanto arrivò un altro operaio a lavorare con lui: Ranocchio (così soprannominato poiché, avendo dei problemi ad una spalla, quando trasportava la rena arrancava facendo strani versi riconducibili a quelli di una rana). Malpelo, pur usando atteggiamenti aggressivi, voleva insegnare a Ranocchio come affrontare la vita. La morte di Ranocchio provocò in Rosso una forte tristezza.
A Rosso Malpelo, poiché era considerato un animale, venivano affidati gli incarichi più pericolosi. Infatti un giorno, accettando un nuovo compito, si perse nei numerosi tunnel. Da quel giorno non si ritrovò più Rosso Malpelo e ogni operaio che entrava nei tunnel per lavorare aveva paura di ritrovarselo avanti. In questa novella, Verga utilizza un discorso indiretto libero, riferendo i discorsi e i pensieri dei personaggi indirettamente, ma riportandone le stesse parole. Inoltre l’autore si serve di un linguaggio risultato dalla fusione di lingua italiana ed espressioni, elementi sintattici, locuzioni, immagini o similitudini presi dalla parlata regionale siciliana. Viene impiegato il lessico della miniera, vezzeggiativi e dispregiativi (usati in modo offensivo nei confronti di Malpelo, per es. occhiacci grigi).
È una novella d’ambiente, ma anche novella sociale, rappresenta la vita e il comportamento del personaggio che le dà il titolo.
Giovanni Verga, il più importante degli scrittori veristi, nasce nel 1840-1922, a Catania. Rivela fin da bambino un grande interesse per la lettura, soprattutto di opere di argomento storico. Già a sedici anni scrive un romanzo, senza però pubblicarlo. Partecipa alle vicende della seconda guerra d’indipendenza e durante la spedizione dei Mille si arruola nella Guardia Nazionale. Nel 1872 va a vivere a Milano dove scrive le opere più importanti. Nel 1893 ritorna a Catania dove muore nel 1922.
Anna Maria Bratosin
III A