Negli anni sessanta, per mancanza di lavoro, si era costretti ad emigrare e così anch’io sono andata a Roma.
In questa bella città ho vissuto 34 anni e inconsciamente ho messo radici; una città generosa che accoglie tutti pagandone anche le conseguenze.
Qui ho conosciuto mio marito “romano verace” e alla nascita di mia figlia Silvia, ho dovuto lasciare il mio impiego. Cresciuti i miei figli e per aiutare la famiglia, mi sono messa alla ricerca di un lavoro, non fu possibile, così accettai di fare da badante ad una bella signora novantenne, ma ancora in gamba, di nome Anna.
Nello stesso pianerottolo abitava la sorella Enza anche lei molto dolce e somigliante alla prof.ssa Rita Levi Montalcini. Essa, veniva accudita da Mebrat, così l’ho conosciuta; era di origine Eritrea e il suo fisico era vicino al personaggio di “Mamy” di Via col vento. Approdata a Roma anche lei nel 1960, dopo che nel suo paese, per l’avvento della dittatura, era stata privata della sua grande casa e dopo aver perso suo marito. Si occupavano d’importazione di prodotti italiani di cui era profonda estimatrice.
Quello che mi ha colpito subito era la precisione e il suo senso di responsabilità che metteva nel lavoro. Il suo italiano era incerto e spesso coniava buffi verbi e vocaboli, ma si comprendeva benissimo. Per non lasciare la signora Enza, delegava a me le sue commissioni; spesso l’accompagnavo all’INPS, dove aveva inoltrato domanda di pensionamento; non fu facile ottenerla, poiché avendo un nome straniero, non si riusciva a ricongiungere i vari periodi assicurati; finalmente dopo un anno e mezzo e grazie all’aiuto del figlio della signora Enza, arrivò la sospirata e misera pensione. Un giorno mi mostrò la sua carta d’identità, ma su di essa c’era come una sentenza “ Analfabeta”; allora le spiegai che bastava saper scrivere il proprio nome per cancellare questo aggettivo e poter così gestire da sola i suoi interessi. Mebrat sapeva scrivere e leggere ma sola nella sua lingua il “tigrino”; così tutti i giorni finito il nostro lavoro armate di penna e quaderno di prima elementare mi sono improvvisata maestra. Le sue grandi mani erano incerte come quelle di una bambina, ma con tanto incoraggiamento siamo riuscite nell’impresa; è stata una bella soddisfazione vedere il nuovo documento con la sua infantile firma “ Hidat Mebrat Sequar”.
E’ venuta poi a mancare la signora Enza ed io ho iniziato a lavorare in una scuola di Roma. C’incontravamo più raramente, si vergognava di dove abitava, capii poi; era una pulitissima ma fredda e umida catapecchia e quello che mi colpì fu che per l’affitto impiegava mezza pensione.
Lei subiva, si sentiva un gradino più giù; a volte sugli autobus veniva spintonata ed era lei a chiedere scusa.
Ma l’episodio che mi fece tanto arrabbiare fu quando in un bar-ristorante allontanandomi la ritrovai fuori dal locale sotto la pioggia per volere del titolare; allora ho dato fiato al mio repertorio “romanesco” contro il gestore, credo che si sia vergognato un po’ e spero che abbia perso qualche cliente.
La mia amica era generosa e riconoscente, aveva sempre un regalo per me; al momento non apprezzavo il loro valore, oggetti suoi personali, come ciondoli , orecchini, bracciali cose del loro artigianato; regali che non potevo rifiutare perchè si sarebbe offesa.
Un giorno fu sottoposta ad un banale intervento chirurgico, firmai io come unico parente il consenso. Nel frattempo nel suo paese cambiò la situazione politica, così appena rimessasi ritornò ad Asmara per sistemare la sua casa, voleva ospitare me e padre Umile “cappellano del Policlinico”, con cui si era recata a fare diversi pellegrinaggi.
Intanto mi trasferii a Ficulle ed un giorno d’ottobre, munita di monete, la chiamai da un telefono pubblico, sapendo che avrei parlato poco, data la distanza; invece magicamente la linea è durata a lungo perchè si era incantata la gettoniera e le promisi che l’avrei richiamata.
Lo feci un giorno d’aprile ma senza ottenere risposta; allora contattai un suo connazionale medico e seppi così la triste notizia: Mebrat era venuta a mancare. Aveva tralasciato i controlli medici dopo l’intervento e quando si era decisa a ritornare, era troppo tardi.
Mi ha lasciato un vuoto e la sensazione di non aver fatto abbastanza. Ho avuto da lei lezioni di vita, mi ha dimostrato la vera amicizia. Ricordo la dignità e la fierezza che metteva nello svolgere i lavori più umili. La ricordo quando passeggiavamo al centro di Roma raccontandoci le nostre cose. Io e Patrizia abbiamo pensato a lei quando dovevamo destinare i proventi della vendita delle nostre bamboline; non abbiamo avuto esitazione, li abbiamo destinati ad una scuola eritrea, un progetto dell’attore Lino Banfi e patrocinato all’UNICEF. Ci è piaciuto pensare che anche quella modesta cifra potesse aiutare piccole mani a scrivere il proprio nome.
Penso a Mebrat ogni 5 giugno quando festeggio il compleanno di mia figlia Silvia: è anche il suo. Vorrei idealmente portare un mazzo delle mie rose sulla sua tomba che non visiterò mai.
Ciao Mebrat.
Rita Mezzetti Scuola media Ficulle