Io sono nato nella metà degli anni cinquanta nella campagna del comune di Ficulle in zona Badia da genitori braccianti. Abitavo in un casolare grande chiamato Casone questa casa è posizionata in una collina che domina tutta la valle del Chiani con un panorama e natura incontaminata. Lì ho vissuto tutta la mia fanciullezza con bellissimi ricordi ma anche con molti disagi. La casa era su due livelli il piano terra era adibito alle stalle il piano superiore ad abitazione e una parte in granaio. Era composta da tre camere da letto, due corridoi, un salotto, ed al centro una grande cucina con un grande focolare.
Lì abitavamo in otto persone io con i miei due fratelli, i miei genitori, la nonna, gli zii. I bei momenti erano quando ci si riuniva con i vicini per delle occasioni per esempio la trebbiatura del grano, la vendemmia, la spezzatura del maiale per noi bambini quelli erano momenti di festa. Durante l’inverno si andava “a veglia” dalle famiglie vicine ricordo quel buio sempre a piedi con una lampada a carburo che con un minimo vento si spengeva, ogni piccolo movimento nel bosco era una paura. La sera si stava tutti riuniti in cucina con il fuoco acceso, dopo cena si ascoltava il ”comunicato“ che trasmetteva la radio, poi si giocava a carte, oppure ci raccontavano le storie del passato, qualche sera eravamo costretti ad andare a letto prima del solito perché il camino buttava fumo giù dalla cappa. Ricordo che mia madre metteva il “prete” per riscaldare il letto altrimenti le lenzuola erano gelide, il soffitto era a tetto e quando pioveva si sentiva lo scroscio dell’acqua. Era così piacevole sentire quel rumore che conciliava il sonno. Chiaramente non c’era la corrente elettrica, la cucina che era il luogo dove si stava di più era illuminata da un lampadario a gas, nella sala c’era un lampadario a petrolio, quando veniva acceso buttava del fumo nero, per le altre camere si usavano i candelieri. Non c’era nemmeno l’acqua in casa si portava dalla fonte con delle brocche di terracotta, ricordo l’abilità delle donne che riuscivano a portare la brocca in testa e fare la maglia. Per andare a scuola dovevo percorrere circa un chilometro, quando pioveva portavo gli stivali perché le strade erano fangose, ero in compagnia di altri ragazzini e per strada specialmente al ritorno si giocava e si litigava pure. La prova più difficile è stata al momento di andare al catechismo, lì dovevo percorrere sette chilometri all’andata e sette al ritorno. Poi è arrivato anche il momento di andare alle scuole medie, lì sono stato fortunato perché fu attivato il servizio dello scuolabus, ma dovevo sempre fare molta strada a piedi. A quattordici anni mia nonna mi diedi i soldi per acquistare il motorino e finirono molti disagi, ma ormai le campagne si spopolavano, il mio vicino coetaneo se ne andò e dopo poco tempo i miei genitori costruirono una casa loro. Era finita anche la mia fanciullezza. Partii come quasi tutti i ragazzi, andai in una grande città, dove sono rimasto circa venti anni. Appena ho potuto sono ritornato per gustare alcuni valori e tradizioni e soprattutto le stagioni che neanche una grande città può offrire. Trincia Almo Ficulle