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Inviato da NonniSuInternet il 3/4/2009 10:52:58 (1388 letture) News dello stesso autore

Dal cassetto dei ricordi:
Quando vedo i miei nipoti giocare, spesso non capisco cosa stiano facendo o mi rifiuto di farlo; troppa tecnologia, play station, game boy e Barbie da imitare; ai bambini non resta che schiacciare un pulsante; allora penso quanta fantasia e creatività  viene imbrigliata, sopita.
Spetta a noi nonni rispolverare certi giochi, io ci ho provato, il risultato è stato incoraggiante. Allora giù a spiegare  come si gioca a campana, a corda, mosca cieca ecc……
Per farlo ho dovuto attingere  al cassetto dei ricordi da cui emergono soprattutto quelli personalizzati, adattati ed inventati.
Nelle sere d’estate, quando i grandi sedevano fuori di casa al fresco, si formavano stormi di  ragazzini che sciamavano nei vicoli facendo una gran “caciara”.



Si andava ad acchiappare le “lucciche”, nei vicoli bui, ce n’erano tante e il nostro sforzo veniva  a volte premiato, con qualche 10 lire sotto il bicchiere o crudelmente le “spiaccicavamo” sui nostri vestiti ammirando la scia fluorescente che vi lasciavano.
A metà di via Monaco  Graziano, il selciato cambiava, da piccoli ciottoli passava in grandi pietre  rettangolari; le prime sei erano  perfette per la nostra campana; bastava scriverci i numeri e non avendo il gesso per farlo adoperavamo pezzi di intonaco o mattone. Siccome era difficile centrare le caselle con un sassetto, la nostra  dirimpettaia e indimenticabile Rosina, esperta pantalonaia, lei sempre pronta a soddisfare le nostre richieste (meriterebbe un  ricordo a parte, per la sua allegria,  per quanto accettasse i nostri scherzi, pur nella sua disabilità che viveva con discrezione e pudicizia), ci regalava dei bottoni con  che noi infilavamo come un braccialetto, con  esso era più facile centrare le caselle della campana.
La “Tana liberi tutti” era molto praticata, facevamo il giro lungo fino a piazza di corsa per non farci prendere; “nascondino“ l’ho riproposto ai miei nipotini Alessandro e Fabio, con entusiasmo vengono a cercarmi dentro un armadio o sotto il lettone e con altrettanto divertimento, notano la mia difficoltà ad uscirne: abbiamo scoperto  così che ci si può divertire anche dentro un appartamento.
Gli scalini fuori delle case ci servivano per il “Buzzico rampichino”, questo gioco piace molto ad Alice, (l’altra nipotina), è stato appurato una sera d’estate al mare con entrambe le nonne, si è molto divertita noi un pò meno.
Negli anni 50 non c’era l’autostrada del Sole, la strada “nova” era l’unica via di comunicazione, un arteria importante; vi passava spesso il Giro d’Italia, assistevamo  alla  sfilata della colorata carovana con gli occhi sognanti, era un mondo nuovo che ci passava davanti. Allora c’era chi tifava per Coppi o  chi per Bartali,  noi avevamo il nostro giro così realizzato: prendevamo i tappi a corona delle bibite, all’interno mettevamo le foto dei  vari corridori, poi in uno spazio terroso, tracciavano la nostra pista con tanto di curve; facendo scoccare il dito pollice e medio il tappo partiva. Il vincitore doveva arrivare alla tappa finale, senza uscire di strada.
Con le rocchette di legno di filo vuote facevamo il nostro carrarmato, bastava dentellare i bordi con un coltello, nel foro centrale si faceva passare un elastico fermato all’estremità con un bastoncino grande ed uno piccolo; ruotando uno dei bastoncini gli si dava la carica e poggiandolo a terra magicamente in cingolato si muoveva lentamente come un mezzo vero e proprio. Per me non c’era distinzione tra giochi maschili o femminili, così con una vecchia ruota di bicicletta ci giocavo al cerchio, spingendola con una canna correva insieme; mentre  dalle camere d’aria ci ricavavo  elastici che opportunamente intrecciati e fissati  ad una forcella di legno, diventava  una fionda o “ tirino”.
Gli incarti delle caramelle o cioccolatini erano i nostri  “ricordini”;  gli involucri e le stagnole più belle, venivano coperte con un pezzetto di vetro e nascosti sotto la terra. Dovevamo successivamente ricordarci dove  fossero e riportarli alla luce come dei piccoli tesori, un po’ come fanno gli archeologi.
E’ noto che il nostro paese ha sofferto in passato per la mancanza di acqua, tanti si ricorderanno le lunghe file alle fontane  pubbliche con le brocche, per prenderne un po’; era anche un  momento di socialità  ma a volte ci usciva qualche lite per la precedenza. Tutto ciò ci ha fatto  rispettare questo bene primario che apprezziamo solo quando  ci manca. In estate ci portavano al Chiani, il nostro mare, potevamo giocare allegramente sui sassi scivolosi e tra le pozzanghere, senza timore di  sprecare acqua. Prima del ritorno dopo aver approfittato per un bel bagno, shampoo compreso, andavamo alla ricerca di piccoli ciottoli tondeggianti indispensabili per il gioco dei “sassetti”. Gettandoli a terra con destrezza se ne lanciava in aria uno e contemporaneamente se se raccoglieva  uno, due, tre ed infine tutti insieme.
Per  giocare al gioco della  corda ci mancava la materia prima, la “corda”, si comperavano solo per le “capezze“ degli animali, avevamo un rimedio anche a questo: si disfacevano le “fescole” usurate, ovvero i dischi di corda che  si usavano nei  mulini  dell’olio d’oliva per il filtraggio, certo quelle ottenute erano aggiuntate e dure:  facevano un po’ male quando ci sbattevano sulle gambe; era una ragione per non sbagliare e poi per giocare si sopportava tutto.
Nelle giornate  piovose quando non si poteva uscire, ci rifugiavamo nel  soppalco di casa a rovistare tra le cose inutili, che spesso si conservano; allora vestiti vecchi dei grandi erano i nostri costumi teatrali, vecchie pezze erano le materie prime per fare  rudimentali bambole. Un giorno ne arrivò da Roma una bellissima di porcellana, con un vestito celeste molto ampio in organza, rifinito con un alto merletto, regalo di mia sorella Assuntina. Per giocarci dovevo fare i turni con mia sorella Milena, poiché le bambole del cuore non si dividono con nessuno e anche per non sciuparla, è finita dietro una vetrina, arrivando dopo tanti anni integra, a mia nipote Emanuela .
Ricordo ancora quando tenevo in braccio questa bambola bella, fredda e senza nome,il mio affetto andava alle “bambocce” fatte da me con gli stracci che come testa avevano una ”pallucca”.
Frugando nella memoria mi vengono in mente tanti giochi, sarebbe lungo elencarli tutti, è ora quindi di richiudere il mio cassetto con un sogno fantastico, tornare all’infanzia  e divertirmi, con i miei quattro spenditi compagni di avventura: Alessandro, Alice, Fabio e Marco.
Mezzetti Rita
Scuola Media Ficulle

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